Campi di Lavanda in Liguria: una Storia che può continuare
La lavanda, quella di montagna, ha le meravigliose fragranze che soltanto “quelle” lavande hanno: nate e cresciute in posti sassosi, ghiaiosi e poveri, menano una vita delle più grame e dure. Tese nello sforzo della sopravvivenza, accumulano nelle foglie e nei fiori le loro odorose e fortissime essenze.
(Paolo Pejrone)
A luglio si vedono un po’ ovunque le splendide foto della fioritura nei campi di lavanda della Provenza. In pochi sanno che, fino a pochi decenni fa, era possibile godere di questo spettacolo anche nel Ponente Ligure e nella provincia di Cuneo.
In Provenza la coltivazione della lavanda su larga scala si diffuse per soddisfare il fabbisogno della fiorente industria del profumo. La città di Grasse è ancora oggi considerata una capitale mondiale della produzione di essenze.
Nei periodi della raccolta anche gli uomini e le donne liguri passavano le Alpi per guadagnare qualche soldo. Alcuni finirono per imparare le tecniche della distillazione e provarono a ricavare il pregiato olio essenziale nella loro terra.
In Liguria infatti la lavanda selvatica non mancava, anzi, grazie al clima, la qualità era eccezionale. L’uomo la usava da secoli, ma non era mai decollato uno sfruttamento significativo. Tra le prime zone dove si provò ad avviare questa attività ci furono la valle e le alture di Carpasio.
Siamo verso la fine dell’Ottocento, proviamo a immaginare di essere un uomo o una donna alle prese con una giornata di raccolta.
E’ metà luglio, inizia la fioritura nel momento più caldo dell’anno. Ci alziamo molto prima dell’alba e facciamo una colazione abbondante. Pane scuro, formaggio, un po’ di latte. Caffè niente: costa caro e ce lo teniamo per la domenica. Prima di uscire di casa prendiamo due accessori fondamentali: un falcetto e una sacca di tela, la bercolla. Approfittando del fresco che durerà poco, cominciamo a inerpicarci sulla collina, che presto diventa montagna. La Liguria è fatta così, ma i campi di lavanda migliori sono in alto.
Una volta che li abbiamo raggiunti cominciamo a tagliare le spighe. Qualche ape non è d’accordo e ce lo fa capire, ma la pelle è dura e una goccia di olio di lavanda sulla puntura sistema tutto. Ogni volta che la bercolla è piena depositiamo il prezioso carico nei grandi teli di iuta posati per terra. Bene, il mucchio è abbastanza alto, possiamo portarlo alla piazza di distillazione.
Lì troviamo il distillatore con i suoi alambicchi, trasportati da un carro trainato dal mulo. Ha scelto questa piazza perché è vicina all’acqua: serve a raffreddare la serpentina dell’alambicco e quindi a separare il vapore acqueo dall’olio essenziale.
Prima di potersi installare qui ha dovuto prendere accordi con il Comune e ha pagato una quota per lo sfruttamento di acqua e suolo.
Il distillatore ci saluta e inizia a esaminare il carico: la lavanda deve essere tagliata di fresco e di buona qualità. L’anno scorso qualcuno ha provato a fare il furbo infilando qualche pietra per far salire il peso, ma se ne sono accorti e lo hanno preso a calci nel sedere…
Va tutto bene: ci siamo guadagnati la giornata e ce ne possiamo tornare a casa.
Le attività collegate alla distillazione della lavanda crearono presto una certa ricchezza e ogni anno diedero lavoro a diverse persone. Il contadino-pastore ligure era abituato a integrare la sua sua attività principale con tutta una serie di lavori stagionali, come questo appunto.
Aumentando lo sfruttamento, la raccolta della lavanda selvatica da libera divenne regolamentata. Si iniziò a dover rispettare giorni precisi e non bisognava sconfinare dai territori comunali. Alla fine, per evitare litigi, i carabinieri dovettero presiedere alla raccolta, dando il via con un colpo di fucile.
Anche gli enti pubblici si accorsero dell’importanza di questa nuova attività. Per porre un freno all’abbandono dell’entroterra, iniziato già nell’Ottocento, cercarono di incoraggiare in vari modi la coltivazione di lavanda e di altre piante aromatiche.
Accanto alla lavanda selvatica si diffuse così quella coltivata. Alle altezze maggiori si piantava la lavanda vera (angustifolia), a quote più basse il lavandino, cioè l’ibrido tra angustifolia e un’altra tipologia di questa pianta, la latifolia o spigo.
Purtroppo le coltivazioni favorirono la diffusione di malattie delle piante che colpirono anche la lavanda selvatica.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’esodo verso la costa della gente di montagna e la produzione su vasta scala delle essenze di sintesi diedero il colpo definitivo a un settore già in crisi.
La lavanda rimase così una coltivazione privata per piccole quantità a uso familiare. Negli ultimi anni si assiste per fortuna ad un’inversione di tendenza e qualche giovane produttore ha deciso di ricominciare.
In valle Argentina per la verità una famiglia non ha mai smesso di produrre: nell’Antica Distilleria Cugge di Agaggio il fuoco sotto gli alambicchi è ancora acceso. I giovani hanno raccolto il testimone dei vecchi e continuano a trasformare la lavanda dei campi di Drego in prodotti sempre più vicini alle esigenze moderne, sia in campo cosmetico che alimentare. Oggi la distilleria è anche una fattoria didattica che serve a far conoscere ai più piccoli questa bella storia del Ponente Ligure.
Vi consiglio di andare a visitare l’azienda e cercare i loro prodotti sui mercati: questo è il loro indirizzo.
Io li ringrazio per le foto, questo articolo è ispirato al libro “Montagne Blu” che Rita e Patrizia Cugge hanno scritto insieme a Giampiero Laiolo.
Siamo arrivati alla fine del nostro profumato viaggio, vi saluto e vi ringrazio, se vi fa piacere un piccolo omaggio trovate su questa pagina l’e-book di benvenuto del blog.
Al prossimo Tesoro del Ponente e Buona Liguria!
bello! grazie! Peccato che a Carpèasio abbiano indotto ad andarsene chi aveva messo su un museo che era una chicca e faceva anche laboratori molto interessanti con i bambini delle scuole…
E’ un vero peccato Claudia. Questo tipo di iniziative sono fondamentali soprattutto perché i bambini possano conoscere storie della loro terra e trasmetterle a loro volta quando saranno grandi.
ciao Alberto, ho letto con piacere. Fino agli anni ’60 due sorelle di Valloria Andreina e Battistina Semeria coltivavano la lavanda sopra Verdeggia, sotto la strada che dalla galleria del garezzo porta al passo di Sanson. A base di lavanda facevano anche una crema per le mani, e le donne di Valloria quando potevano se la compravano per alleviare i dolori dovuti alla raccolta delle olive.
Ciao caro Gian Franco, mi ha fatto tantissimo piacere rivederti alla sagra di Valloria. Le storie dell’entroterra, come quella che mi stai raccontando, sono troppo interessanti per venire perdute. Nei prossimi mesi voglio studiarmi qualcosa, magari mettere su una raccolta di questi ricordi. Ci sentiamo presto!
Venite anche a trovare Azienda Agricola Cotta a Pantasina sopra imperia, dove oltre alla distillazione con la lavanda biologica e l’olio extravergine di taggiasca Bio si producono anche una linea di cosmetici e profumi!
Grazie Cristiano!
Interessante, verrò a pantasina