I PESCATORI DI CORALLO DI CERVO TRA STORIA E LEGGENDA
Una scritta misteriosa
Ritorniamo per un momento nella parrocchiale di San Giovanni Battista a Cervo e guardiamo in alto: nella porzione di volta verso l’altare maggiore c’è una scritta in latino a lettere d’oro.
Assumpsit me de aquis multis super excelsa statuens me
E’ un passo del Salmo 17° che significa:
“Mi sollevò dalle vaste acque e mi pose in un luogo elevato”.
Basta ammirare qualsiasi immagine del borgo per comprendere come queste parole si adattino perfettamente a identificare la posizione dominante della chiesa e del suo campanile.
Ma chi la sollevò dalle acque?
Sicuramente la volontà divina, e fin qui nessun problema, quello che non tutti sanno, almeno al di fuori di Cervo, è che essa si servì dell’opera di una singolare categoria di marinai: i Corallini, cioè i pescatori di corallo rosso.
In autunno e in inverno, quando non erano in mare aperto, i Corallini prestavano il loro lavoro e le loro barche per il trasporto dei materiali di costruzione della chiesa. Era un’operazione difficile e pericolosa per via del dislivello tra la spiaggia e il “luogo elevato”, detto Balzo, scelto per l’edificazione.
Il loro contributo fu importante anche sotto l’aspetto finanziario: ogni spedizione di pesca prevedeva una percentuale sui guadagni che veniva devoluta ai lavori, e con il passare degli anni molti misero da parte piccole fortune, potendosi permettere ulteriori generose donazioni straordinarie.
Ecco perché la chiesa di San Giovanni Battista è anche detta chiesa dei Corallini.
Oggi voglio parlarti di questi uomini che hanno fatto la storia di Cervo e del Ponente ligure: scoprirai chi erano, come si guadagnavano da vivere e perché la loro storia sfuma nella leggenda.
Ma per capire i Corallini, dobbiamo cercare le origini della vocazione marinara di Cervo.
Nati per navigare
Cervo sorge in un luogo frequentato dall’uomo già nella preistoria, che vede nei secoli gli insediamenti di Liguri, Celto-Liguri, Romani e Bizantini. Il suo sviluppo nelle forme attuali inizia intorno al Mille, quando diventa punto di riferimento fortificato per le popolazioni della zona nella difesa contro le incursioni dei Saraceni.
Le spiagge sotto il borgo permettono un comodo approdo: si sviluppa così una scuola pratica di nautica che viene affinata negli anni e trasmessa attraverso le generazioni. I giovani dei paesi vicini che vogliono imparare ad andare per mare, vanno a fare il loro apprendistato a Cervo.
La stessa Repubblica marinara di Genova apprezza molto le qualità dei Cervesi, e spesso li ingaggia per le sue imprese commerciali o militari in giro per il Mediterraneo. La flotta genovese è una delle “università di navigazione” più prestigiose al mondo, per cui i marinai del borgo migliorano ulteriormente portando a casa esperienze e conoscenze a vantaggio di tutto il paese.
I rapporti con la Superba si mantengono sempre ottimi: in breve Cervo entra ufficialmente nell’orbita politica genovese pur mantenendo una forte autonomia amministrativa.
Tra il Quattrocento e il Seicento, l’alto livello raggiunto dalla marineria cervese permette agli abitanti di specializzarsi in un’attività tecnicamente molto difficile ma anche molto remunerativa: la pesca del corallo rosso.
Andiamo a scoprire come si svolgeva.
L’oro rosso del Mediterraneo
Verso la fine di marzo, i proprietari delle imbarcazioni si dividevano gli uomini migliori e formavano delle “compagnie”. Ogni compagnia costituiva l’equipaggio di una barca, in tutto nove o dieci persone. Uno di loro, spesso lo stesso armatore, faceva da comandante.
Il proprietario forniva anche il capitale iniziale, che tratteneva poi come rimborso al termine del viaggio.
Andare per mare all’epoca era molto pericoloso, non tanto per le condizioni meteo quanto per la presenza di personaggi poco raccomandabili…
Gli attacchi dei pirati barbareschi ai paesi costieri e alle navi erano infatti all’ordine del giorno, puoi immaginare quanto fosse pericoloso avere a bordo qualche chilo di prezioso corallo.
Le “coralline” e le “fregatte” erano quindi armate e viaggiavano in piccole flottiglie. Nei periodi più turbolenti venivano scortate dalle galee da guerra genovesi.
Il corallo un tempo era piuttosto diffuso nel Mediterraneo, le mete preferite dai pescatori liguri erano i banchi della Sardegna e della Corsica. Alcuni si spostavano anche più lontano, a Ponente verso le Baleari o a Sud vicino alla Tunisia. Esistevano regole e concessioni ben precise per lo sfruttamento dei banchi corallini, le autorità del luogo potevano decidere di proibire la raccolta in alcuni periodi dell’anno o sottoporla a forme di tassazione.
I cercatori di funghi non rivelerebbero i posti buoni neanche sotto tortura, i Corallini erano anche peggio: le posizioni dei banchi più profittevoli erano custodite come segreti di Stato! A questo proposito esiste una filastrocca che accompagnava i brindisi, immagino piuttosto frequenti, tra i lupi di mare di Cervo: pare nasconda misteriosi riferimenti geografici…
Aa salute de stu gottu
u cavu du Fen pe l’isuottu
e perché ti m’intendi ben
l’isuotto peu cavu du Fen.
Ci hai capito qualcosa? Lo so, anche conoscendo il dialetto ligure, il messaggio rimane oscuro.
Ti arrendi?
Intanto devi sapere che significa: “alla salute di questo bicchiere, il capo di Feno per l’isolotto, e perché tu mi capisca bene, l’isolotto per il capo di Feno”.
Lo scrittore e studioso di La Maddalena Gian Carlo Tusceri ha risolto il mistero e mi ha spiegato che la soluzione è legata alla proiezione dei due Capi di Feno che si trovano in Corsica, uno vicino ad Ajaccio, l’altro a Bonifacio. Il terzo incrocio è rappresentato dal piccolo isolotto dei Berrettinelli di Fuori (vicino appunto alla Maddalena) che viene chiamato proprio il “Gotto”.
Unendo i punti sulla cartina Giancarlo ha individuato una secca che probabilmente prima di venire “ripulita” era piena di corallo, in gergo una posta.
Ma come veniva pescato il corallo?
I coralli sono polipi che vivono in colonie, dotati di uno scheletro calcareo rosso simile a un alga o a un arbusto. Il banco corallino di solito si trova su una parete rocciosa subacquea.
Ogni barca era dotata di una particolare attrezzatura, chiamata “ingegno”. Il pezzo più importante era un trave, semplice o a croce, che veniva calato sul banco e mantenuto a contatto tramite pesi, a esso erano collegate delle piccole reti. Trascinato dalla barca, l’ingegno arava letteralmente il banco, spezzando le concrezioni che finivano nelle reti.
Per renderti conto di quello che succedeva a bordo di una corallina, ti consiglio di dare un’occhiata a questo video girato in Sardegna negli anni cinquanta, quando le barche con argano a mano stavano lasciando spazio a quelle con argano a motore.
Uno strano epilogo
Oggi il corallo viene raccolto solo da sub autorizzati, perché lo sfruttamento intensivo lo ha reso molto raro.
A Cervo la pesca del corallo venne progressivamente abbandonata già a partire dal Settecento, proprio nel secolo di edificazione della chiesa.
Anzi, secondo una leggenda, proprio la necessità del denaro per ultimare la parrocchiale di San Giovanni Battista fu la causa di un finale estremamente tragico.
Si racconta infatti che venne decisa una battuta di pesca fuori programma, il cui intero ricavato doveva servire per terminare la costruzione della chiesa. I marinai cervesi misero in mare una flotta che non si era mai vista prima.
Il giorno della partenza, come di consueto, si radunarono presso una cappella vicino alla spiaggia, dove il parroco benedì le barche e l’impresa.
Ma la benedizione servì a ben poco.
Passarono i giorni, poi le settimane, poi i mesi, ma le donne e i bambini aspettarono invano: nessuna barca fece ritorno.
Il naufragio avvenne secondo alcuni nel mare di Sardegna, forse proprio nei pressi di quell’isolotto di Mezzu Mare di cui parlavamo prima.
Un tempo si parlava di un punto ricco di corallo rosso chiamato il “banco delle vedove”, che potrebbe essere la tomba di quei poveretti; ma ormai nessuno ricorda dove si trovava.
L’aspetto più interessante di questa storia è che non sembra avere nessun fondamento storico: di questa misteriosa sparizione di massa non si parla in nessuna cronaca. E’ strano quindi che sia stata tramandata fino ai nostri giorni, come se nascondesse qualche significato simbolico.
Personalmente mi ha ricordato la fiaba del pifferaio che attirò con la sua musica i bambini del paese di Hamelin, dei quali non si seppe più nulla. Forse anche i marinai cervesi sono stati incantati dai suoni del mare, o dal canto delle sirene, e non sono più stati in grado di tornare alle loro case.
Nella storia rimane comunque l’attività plurisecolare svolta da uomini coraggiosi che, schiacciati dalle montagne alle loro spalle, finirono per cercare pane, libertà e sogni nel mare. Una storia fatta di mille racconti più o meno veri, come questa leggenda, che devono essere custoditi nella memoria storica del Ponente ligure.
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Direi che è tutto, arrivederci al prossimo Tesoro del Ponente!
Dopo aver visitato Cervo e la bellissima Chiesa, ho cercato incuriosita in internet ulteriori notizie. Il vostro articolo è davvero interessante e affascinante. Grazie! Ho condiviso in fb il link mettendo anche poi un mio post.
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