Il Museo Etnografico e della Stregoneria a TRIORA
Avete mai desiderato di avere a disposizione una macchina del tempo per scorrazzare liberamente attraverso i secoli e vedere come si viveva nel passato?
A Triora ne hanno messa a punto una che tutti dovrebbero provare: i turisti per capire e quindi apprezzare meglio il Ponente Ligure, gli “indigeni” per tenere vivo il ricordo delle Tradizioni, senza le quali si va poco lontano.
Ma questa macchina del tempo, costruita con il contributo e la passione di tutto il paese, dovrebbe essere messa soprattutto a disposizione dei bambini, che meritano di conoscere e portarsi dietro un mondo così diverso da quello in cui sono nati e cresciuti.
Il Museo Etnografico e della Stregoneria di Triora nasce dall’idea di un religioso molto colto e appassionato del proprio paese, Padre Francesco Ferraironi, che nell’estate del 1960 organizza una mostra raccogliendo nelle case della zona moltissimi oggetti legati al lavoro dei campi e dei pascoli, ai ricordi delle famiglie, alla vita di tutti i giorni.
Oggi si possono trovare molti progetti di questo tipo che valorizzano l’offerta turistica di varie realtà in giro per l’Italia, cinquant’anni fa bisognava essere molto avanti per pensare a qualcosa del genere: manufatti considerati inutili o addirittura da buttare, salvati e messi in mostra, diventavano il simbolo dell’orgoglio culturale di un territorio.
E infatti l’iniziativa riscuote un enorme successo, tanto che si decide di continuare la raccolta. Purtroppo, dopo pochi anni, Padre Ferraironi viene a mancare e con lui la spinta a proseguire.
Negli anni Ottanta dell’ormai secolo scorso, il sindaco Luigi Capponi e l’Associazione Pro Triora rilanciano il progetto, dando il LA all’allestimento di un vero e proprio museo permanente.
Si rivela a questo proposito fondamentale il lavoro di ricerca e catalogazione svolto da un gruppo di ragazzi di Genova venuti a Triora nel 1983 in occasione di una sorta di vacanza studio, il Campo Eco, organizzato dal comune del capoluogo.
Da allora il Museo non ha mai smesso di ampliarsi e arricchirsi di pezzi interessanti.
Diamo un occhiata?
La struttura che ospita il Museo è un’antica casa con una splendida vista sulla valle; si sviluppa su tre piani, il più alto dei quali rimane sulla strada: proprio qui troviamo l’ingresso.
Siamo accolti da un folto gruppo di streghe svolazzanti, ormai simbolo del paese, le superiamo velocemente (non si sa mai…) per accedere alla prima sala.
Si inizia con una panoramica sulla fauna della zona, soprattutto sui rapaci e i volatili che hanno una notevole diffusione sulle alpi Marittime e Liguri.
La particolarità fondamentale del Ponente Ligure è infatti la presenza di animali e piante che vivono ai confini delle loro abituali aree di sviluppo.
Fauna e flora alpina trovano qui il limite meridionale del loro habitat e areale, così come piante e animali mediterranei il loro limite settentrionale.
Tutto questo per la gioia dei moltissimi appassionati di fotografia che, soprattutto dopo l’avvento delle macchine digitali, se ne vanno alla ricerca di aquile, picchi, galli forcelli ma anche camosci, volpi, marmotte e tante altre specie.
Questi luoghi sono abitati da millenni anche da un’altro animale che conosciamo molto bene, l’uomo, come possiamo vedere nella sala successiva dedicata all’archeologia.
Qui si può ammirare una piccola raccolta di reperti trovati nella zona, con il supporto di pannelli esplicativi molto ben fatti dedicati ai ripari e alle grotte dove sono stati rinvenuti i pezzi esposti. Assolutamente obbligatoria una visita a questa sezione da parte dei ragazzi delle scuole.
La maggior parte di questo piano è poi dedicata alla raccolta di opere artistiche e artigianali di varia natura, interessanti anche perché ben presentate e corredate di spiegazioni chiare.
Si va dalle eleganti statuette del presepe ritenute della scuola del Maragliano, grande scultore genovese del legno, a una pittoresca collezione di marionette, dai giochi di una volta donati dai bambini del paese a splendide stoffe di valore.
Sono presenti anche pezzi più voluminosi come un bel letto di altri tempi, che non da l’idea di essere troppo comodo, fisarmoniche, bambole costruite nella fabbrica che era attiva in paese e perfino l’antico orologio della Collegiata.
Molto significativi alcuni oggetti appartenuti a Margherita Brassetti, una nobile sarda dalla storia particolare venuta a vivere a Triora ai primi del ‘900. Una donna da un lato moderna per la sua attività nell’associazionismo cattolico e nel sociale, dall’altra legata a una fede antica che la faceva arrivare perfino a castigarsi fisicamente, usando strumenti che vediamo ancora conservati.
Scendiamo le scale.
Il secondo piano è dedicato alla parte etnografica del percorso: ogni sala racconta di un passato che non esiste praticamente più, attraverso la raccolta e catalogazione accurata di manufatti della vita quotidiana legati al lavoro e all’alimentazione. Durante la mia ultima visita era presente anche una gradevole spiegazione audio diffusa in ogni ambiente.
Si inizia con gli utensili della cantina e della vigna, torchi, imbuti, recipienti, ceste, macchinari per lo zolfo: ce n’è per tutti i gusti!
Coltivare una pianta delicata come la vite a queste altitudini non doveva essere semplice, ma il vino era considerato una bevanda fondamentale, soprattutto dal punto di vista sociale.
Con il vino si dimostrava amicizia, si siglavano i patti, si festeggiava la vita e ci si consolava della morte. Chi veniva pagato per una giornata di lavoro aveva diritto ad un fiasco di questo vino leggero, che lo accompagnava attraverso le fatiche dei campi o dei boschi. Molto più di una semplice bevanda insomma.
Si prosegue con la ricostruzione del grande focolare domestico, con intorno oggetti che sempre più di rado vediamo nelle nostre case. Stupisce la solidità di cose create per durare ma spesso anche con un insospettabile gusto per il design. Molto curiosi gli attrezzi per abbrustolire il caffè e un’insaccatrice per salumi, ormai usciti completamente dal nostro quotidiano.
Il momento del ritrovo serale attorno al focolare è sicuramente uno dei più autentici esempi di come siano cambiati i tempi, la famiglia riunita dopo la dura giornata si raccoglieva al caldo per ascoltare gli anziani raccontare storie vere o fantastiche e prepararsi al sonno. Sembra ancora di poter immaginare le persone disposte in cerchio su questi sgabelli.
Andando avanti troviamo due settori chiave dell’economia ligure di montagna, quello legato al latte e quello del castagno.
L’allevamento, soprattutto di capre e pecore, era un’ attività fondamentale per la vita e la salute della popolazione: il latte e i suoi derivati costituivano il maggiore apporto proteico di una dieta dove la carne era il lusso del giorno di festa.
E’ tipica di queste zone alle pendici delle Alpi Marittime e Liguri la produzione di una ricotta di pecora fermentata, il bruzzo, un presidio slow food dal sapore forte e caratteristico che viene usato anche per il condimento di primi piatti. Qui troverete oggetti particolarissimi, come la zangola che serviva a fare il burro.
Il castagno forniva invece la cosiddetta farina dei poveri, il suo frutto era importante perché molto versatile e adatto ad essere essiccato in vista dei periodi grami. I boschi di castagno venivano mantenuti puliti e ordinati proprio per l’enorme utilità di questo albero, che tra l’altro forniva legno di buona qualità.
Molto interessante anche la stanza dedicata ai mestieri di una volta, il calzolaio, il falegname, il fornaio, che caratterizzavano la vita del paese. Nell’altra metà della sala viene ricordato il lavoro dei contadini nei campi con una vivace ricostruzione. Sottolineo ancora una volta la presenza quasi maniacale di targhette esplicative a garanzia di una visita interessante e completa.
Uno dei prodotti caratteristici di Triora era incredibilmente il grano, che siamo abituati a immaginare a maturare su distese pianeggianti, non certo in mezzo alle montagne.
Triora era uno dei possedimenti della Repubblica di Genova con maggiore produzione di questo cereale, coltivato su ampi terrazzamenti rubati alla montagna e ancora visibili.
L’attuale Pane di Triora è uno squisito prodotto erede di quella tradizione antica.
Nel secondo piano è presente anche una biblioteca, dove sono conservati diversi documenti e tomi dedicati alla stregoneria e all’occulto. Il numero di volumi è in continua crescita e naturalmente le donazioni di libri su queste tematiche sono bene accette. Non è semplice trovare una raccolta specializzata di questo tipo, che attrae infatti molti ricercatori, studenti o semplici appassionati dell’argomento
Non ci resta che scendere all’ultimo piano, siete pronti a entrare nelle ex carceri e ad assistere all’interrogatorio di una strega?
Appena scese le scale entrate nella prima stanza che vi trovate di fronte.
Verrete introdotti al tema stregoneria nella sua rappresentazione grafica e plastica nella cultura, anche in quella moderna: vedrete come pittori, scultori, illustratori hanno immaginato queste creature repulsive ma anche affascinanti nel corso dei secoli.
Triora, come saprete, è legata a doppio filo con questo tema per il terribile processo del 1587, uno dei più importanti in Italia e tristemente conosciuto anche a livello mondiale: una storia complessa a cui dedicherò sicuramente un intero articolo.
Nella camera a fianco si trovano proprio le copie degli atti e dei documenti di quel processo, che restituiscono un quadro veramente fosco di quel tempo.
Dopo un periodo di carestia si diede la colpa alle presunte pratiche magiche di un gruppo di donne ai margini della vita del paese, accusate di essere la causa dei cattivi raccolti. Le torture moltiplicarono le denunce e ben presto molte altre donne, anche di famiglia nobile, vennero accusate, gettando il paese in una sorta di insensato incubo collettivo.
Nelle ultime due sale, le più lugubri, troviamo proprio la ricostruzione di un interrogatorio con figure ad altezza naturale.
Nella prima una poveretta viene torturata sul famigerato cavalletto, nell’altra un inquisitore si rivolge con fare minaccioso a una presunta strega con lo sguardo privo di speranza perso nel vuoto, prigioniera in una cella minuscola.
I manichini realistici, la pietra, il buio e l’umidità danno proprio la sensazione di trovarsi in una segreta medioevale…
Un po’ scossi ed emozionati, risaliamo le scale e ritorniamo all’ingresso.
Non vi dirò che la visita finisce qui perché voglio lasciarvi con queste parole cariche di significato dei ragazzi del Campo Eco, le ho trovate sul curatissimo sito del museo che vi invito caldamente a visitare. Sono la chiave di lettura più autentica per capire questo luogo frutto dell’ incredibile passione di un intero paese.
Se volete cercare l’uomo non fermatevi agli oggetti inanimati che abbiamo esposto, ma salite a vedere in quale cornice venivano e vengono usati gli strumenti del lavoro quotidiano; nelle case e nei campi, sui sentieri lastricati con fatica, nell’ambiente naturale in cui l’uomo operava e da cui venivano tratti materiali e tecnologie nate da questa natura e sviluppatesi con il solo aiuto delle mani e di qualche utensile.
Vi troverete, forse senza saperlo, in uno dei luoghi più belli della Liguria, nel Parco Regionale delle Alpi Marittime Occidentali, dove ancora convivono antichi stanziamenti umani, vecchie tradizioni, endemismi di ogni genere.
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Vi saluto, ci sentiamo a breve per il prossimo tesoro del Ponente!
Per raggiungere il Museo:
Partendo da Arma di Taggia (uscita dell’Autostrada dei Fiori) prendete la statale 548 e attraversate la bellissima valle Argentina. Dopo poco meno di un’ora raggiungerete Triora. Seguite la strada principale evitando il bivio per Loreto e arriverete al Municipio, sotto il quale è possibile lasciare la macchina. Proseguite poi a piedi verso l’ingresso della parte alta del centro storico, subito a destra troverete il Museo Etnografico e della Stregoneria.
In questa struttura si possono ritirare le chiavi per la chiesa di San Bernardino da Siena, approfittatene per una doppia visita di sicuro interesse.