Montegrosso Pian Latte e il suo Bosco Addomesticato
Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.
(Henry David Thoreau)
La Liguria dei boschi e delle montagne è sempre più apprezzata da chi cerca un turismo moderno e consapevole. Come tanti piccoli castelli, paesi antichi con abitanti coraggiosi sono riusciti a difendere un territorio unico dallo spopolamento che lo aveva colpito nel secolo scorso. Queste comunità sono tra i tesori più preziosi del Ponente Ligure e le loro storie meritano di essere raccontate: oggi iniziamo da Montegrosso Pian Latte.
Il settore più meridionale delle Alpi si trova nel Ponente Ligure. Montagne severe alte più di duemila metri si innalzano a pochi chilometri dal Mar Mediterraneo, creando un ambiente unico al mondo.
Un territorio di confine, per certi versi estremo, dove piante, animali, climi appartenenti a mondi diversi arrivano a toccarsi da vicino. Una porta tra la cultura mediterranea e quella alpina che unisce da secoli tre regioni: Liguria, Piemonte e Provenza.
Negli ultimi anni questa unicità è diventata una risorsa turistica, grazie soprattutto alla passione degli abitanti dei comuni del Parco delle Alpi Liguri, che tocca le valli Arroscia, Argentina, Nervia e una parte della val Tanaro.
Nell’articolo che state per leggere inizieremo a conoscere questi posti meravigliosi, andando in alta Valle Arroscia a scoprire Montegrosso Pian Latte e il suo legame con il mondo del bosco e del castagno.
Il bosco “addomesticato”
Prima di cominciare, proviamo a chiudere gli occhi e a pensare a un bosco. Ora possiamo riaprirli: che cosa avete visualizzato?
A me, ma probabilmente anche a voi, è venuto in mente un luogo tranquillo, dove gli alberi e i cespugli crescono spontaneamente seguendo le regole della natura.
In realtà questa immagine corrisponde, ma soprattutto corrispondeva, solo in parte al vero.
Nel passato l’uomo aveva un bisogno vitale del bosco e interveniva su di esso in modo incisivo. Faceva di tutto per renderlo meno selvaggio, cercava, come se si trattasse di un animale, di “addomesticarlo”.
Oggi vediamo perlopiù resti e ruderi, ma una volta il bosco era pieno di costruzioni. Ponti in pietra, piccole cappelle, casette, ma anche mulini o depositi, venivano realizzati per facilitare la sopravvivenza e il lavoro dell’uomo, che viveva il bosco quotidianamente.
Questi sono segni piuttosto chiari della mano dell’uomo, ce ne sono però molti altri più nascosti. Il sentiero dove mettiamo i piedi, ad esempio, è molto probabilmente il risultato di un duro lavoro di pulizia, sbancamento, copertura con pietre, che ormai confondiamo con il fondo naturale del bosco.
Gli interventi umani ormai più difficili da notare erano in realtà i più profondi e riguardavano la stessa vegetazione.
Il bosco veniva ingrandito, piantando gli alberi più adatti ai bisogni della comunità e degli animali domestici. Veniva tagliato, se era necessario aumentare la superficie del pascolo. Quando il bosco diventava troppo fitto, si dovevano eliminare con estrema precisione le piante più vecchie che toglievano luce a quelle più giovani, rallentandone la crescita.
Questi sono solo alcuni degli esempi di un lavoro quotidiano e secolare che rischiava di finire nel famoso dimenticatoio.
La comunità di Montegrosso Pian Latte per fortuna ha impedito che questo accadesse. Ha voluto recuperare le tradizioni legate al Bosco Addomesticato e a uno degli alberi più importanti nella storia dell’uomo: il castagno. Vediamo come, facendo una bella passeggiata alla scoperta di un paese che ha davvero tanto da offrire.
Un percorso in tre tappe
Lasciamo l’auto all’ingresso del paese e passiamo davanti all’ampio porticato della parrocchiale dedicata a San Biagio. La porta laterale è sormontata da un notevole architrave scolpito dai maestri di Cenova.
Il Museo della Castagna, prima tappa del nostro percorso, si trova pochi metri più avanti.
Grazie alle foto e ai pannelli informativi iniziamo a conoscere tutto quello che c’è da sapere sulle caratteristiche, la diffusione e gli utilizzi della castagna e dell’albero che la produce. Possiamo anche osservare da vicino gli utensili manuali che venivano usati per la lavorazione e la coltivazione, insieme ad alcuni dei primi macchinari meccanici.
La facilità di conservazione della castagna permetteva di formare scorte attraverso l’essicazione o la trasformazione in farina. A queste latitudini si riusciva ancora a coltivare frumento, ma la produzione non copriva il fabbisogno dei paesi. Ecco allora che la farina di castagne andava a integrare quella di grano o di altri cereali.
Anche i frutti di seconda scelta erano importanti, perché garantivano la sopravvivenza degli animali domestici.
Il legno del castagno poi aveva moltissimi utilizzi. Ottimo per il riscaldamento, veniva usato in carpenteria, nella costruzione degli utensili per la casa e degli attrezzi agricoli. Anche i mobili erano di castagno: gli artigiani del settore lo considerano ancora oggi un essenza molto pregiata.
Una volta usciti dal museo raggiungiamo la piazza, con la robusta costruzione in stile alpino sede del Municipio. Da qui la strada sale passando di fianco alla Fontana del Gemellaggio, simbolo di una storia che vi vorrei raccontare.
Nel 1477 il paese provenzale di Pontevès venne colpito dalla peste: il terribile morbo sterminò in poco tempo gran parte della popolazione. Per evitare che il borgo scomparisse, le autorità locali offrirono a chi si fosse trasferito lì una casa, un pezzo di terra e l’esenzione dalle tasse per alcuni anni.
La voce si sparse attraverso i valichi e le montagne, fino a raggiungere Montegrosso Pian Latte, dove trenta famiglie decisero di raggiungere e ripopolare Pontevès. I due paesi furono da quel momento legati per sempre: da qualche anno un gemellaggio ufficiale unisce le due comunità.
Pochi metri più su notiamo la “casa del pastore”, un bel casone di montagna usato per le attività turistiche, e il forno comune del paese.
Nel passato le case non erano dotate di forni propri, così ogni famiglia cuoceva il proprio pane insieme a quello delle altre. Proviamo per un’attimo a immaginare l’odore di grani e lieviti antichi che doveva sprigionarsi da questa apertura fino a non troppi anni fa…
Continuiamo a salire fino a raggiungere la cappella di San Bernardo. A pochi metri troviamo un altro importante luogo di aggregazione, il lavatoio.
Qui le donne lavavano i panni, chiaccherando e cantando in un dialetto misto di ligure, piemontese, francese, che per fortuna non si è ancora perso. Gli elettrodomestici hanno facilitato il lavoro, ma forse anche reso un po’ più sole le persone…
La curiosa costruzione che vediamo poco più sotto è la seconda tappa del nostro percorso alla scoperta della castagna.
“U Canissu”, il canniccio, era la casetta dove si facevano essiccare le castagne. Al piano terra si trovava il focolare, intorno al quale si riunivano le persone per scaldarsi durante le serate invernali. Il suo calore toglieva umidità alle castagne poste nel piano superiore, separato da quello inferiore da un sottile “pavimento” di listelli di legno, il canniccio appunto.
Una volta secche, le castagne potevano essere raccolte attraverso una botola o una finestrella esterna.
In passato i canissi erano molto numerosi: si è calcolato che praticamente ogni famiglia ne possedeva uno. Qui si raccontavano storie, si discuteva dei fatti di cronaca, si prendevano le decisioni.
Superate le ultime case del paese ci ritroviamo sulla strada asfaltata, che seguiamo prendendo a sinistra.
Dopo aver passato un bivio tenendo la destra, passeggiamo tra i castagni ancora una decina di minuti fino a notare sulla sinistra delle strane costruzioni. Siamo arrivati nella Ciazza della Carbuneia, la nostra terza tappa.
E’ stato riprodotto uno degli spiazzi dove il bosco veniva pulito per realizzare le carbonaie. Ce ne sono due, una intera e una divisa a metà per vedere in sezione l’interno. In pratica si tratta di strutture a forma di cono, costituite da legni di castagno disposti attorno a un camino centrale e coperti con terra e foglie.
Vicino alle carbonaie troviamo anche la capanna del carbonaio, il carbunin, in omaggio a un mestiere ormai completamente estinto.
Una parte della legna raccolta diventava carbone attraverso un procedimento ingegnoso, che sfruttava la lenta combustione in presenza di scarso ossigeno. Una volta costruito il cono, attraverso il quale non doveva passare aria, si infilavano delle braci nel camino centrale, che a sua volta veniva chiuso tramite una grossa pietra piatta. In questo modo la legna intorno al camino a poco a poco carbonizzava. Dopo alcuni giorni il processo era completo.
Questo sistema era diffuso in tutte le aree alpine e appenniniche. Se come me amate i libri di Mauro Corona, avrete sicuramente sentito parlare del poiàt, la carbonaia del Veneto e del Friuli.
Il carbone era una voce importante di quello che potremo definire l’export di queste zone, perché poteva venire facilmente trasportato verso la costa e venduto.
La nostra passeggiata termina qui: torniamo in paese, ma non è ancora il momento dei saluti.
La festa della Castagna e le Raviore
Ogni anno Montegrosso Pian Latte celebra il suo legame con la castagna con tre giorni di manifestazioni, che culminano nella festa finale della seconda domenica di ottobre. Il paese si riempie di visitatori che non vedono l’ora di assaggiare i piatti a base di castagne cucinati dai montegrossini, come le caldarroste, il castagnaccio e le castagne secche bollite nel latte.
L’occasione è ghiotta per degustare, oltre ai prodotti del bosco, anche quelli delle malghe alpine.
La cucina bianca, dal colore dominante delle materie prime utilizzate, è diventata negli ultimi anni una delle attrazioni di queste valli che si incontrano sulle pendici del monte Saccarello. Latticini, farine, porri, aglio, patate, erbe spontanee sono la base di piatti particolari, che non troverete da nessuna altra parte.
Il piatto tipico di Montegrosso Pian Latte sono le Raviore. Si tratta di una specie di fagottini di medie dimensioni a base di farina e acqua. Al loro interno si trova un trito di sole erbe della zona. Ogni famiglia ha la sua ricetta, alcune utilizzano, pensate, venti tipi di erbe diverse.
In bocca si sente la complessità di questo ripieno, molto fresco e leggermente amaro. Le raviore vengono condite con l’olio extravergine di oliva del Ponente Ligure, perché la sua bassissima acidità non copre il ripieno, o all’antica, con un’emulsione formata da acqua di cottura, burro e pecorino. Anche alle Raviore è dedicata una sagra, nel mese di luglio.
I ristoranti della zona offrono tutto l’anno la possibilità di apprezzare i piatti della cucina bianca. Il chilometro zero di molti prodotti permette un rapporto qualità prezzo a dir poco eccezionale.
Oltre a scoprire il mondo del bosco e della cucina bianca, a Montegrosso Pian Latte potrete divertirvi con escursioni, che di inverno con la neve diventeranno ciaspolate, e percorsi in mountain bike.
Vi invito a fare un salto a Montegrosso Pian Latte per rendervi conto personalmente delle attrattive del suo territorio. Vi divertirete, assaggerete prodotti di altissimo livello, passerete ore serene in compagnia di persone che amano la loro terra e non vedono l’ora di farvela conoscere.
Ora siamo davvero arrivati al momento dei saluti… grazie per il vostro tempo, ci sentiamo presto! Nel frattempo non dimenticate di scaricare la guida gratuita del blog e di iscrivervi alla newsletter.
Buona Liguria.
Link utili:
http://www.comune.montegrossopianlatte.im.it/
come al solito hai descritto in modo semplice
e molto preciso un altro dei meravigliosi angoli della nostra Liguria
Grazie Gian Franco. I complimenti da chi si batte in prima linea per difendere questi posti, come voi di Valloria, mi fanno doppiamente piacere.
Complimenti per il risalto che avete dato a questi bellissimi posti, e un bravo a chi l’ha scritto,
Saluti
Ti ringrazio Fabrizio. Non voglio fare il modesto ma sto davvero trovando storie talmente interessanti che quasi si raccontano da sole.