Luoghi da visitare

La chiesa di SAN BERNARDINO a TRIORA

Nel Ponente Ligure potrete trovare molte piccole chiese campestri che somigliano agli scrigni antichi, come quelli del tesoro nelle storie di pirati.
Magari sono un po’ malridotte all’esterno, con il loro guscio di pietra rustica, ma una volta aperte ci si rende conto che nascondono ricchezze inaspettate.

Uno di questi scrigni è la Cappella di San Bernardino da Siena a Triora, che oggi voglio invitarvi a visitare.

La prima cosa che penserete vedendo San Bernardino è che di certo i nostri antenati sceglievano con cura dove costruire gli edifici: dalla fascia di terra dove si trova la chiesa la vista è ampia sulle montagne boscose intorno e si perde in lontananza sia a sud che a nord. Ad impreziosire il luogo, uno splendido enorme ippocastano regala ombra d’estate e giochi di colore nelle altre stagioni.

 

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La costruzione si fonde letteralmente con la collina, grazie ai due archetti che la collegano a un muro di pietra proseguendo idealmente negli archi del delizioso portico.

 

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San Bernardino da Siena è un importante frate francescano del Quattrocento: nei suoi viaggi di predicazione aveva raggiunto anche Triora, dove era stato accolto dall’entusiasmo della popolazione.
E’ conosciuto soprattutto per le sue prediche ardenti e incisive, nelle quali interessanti analisi sociali ed economiche si mischiavano a temi religiosi di tenore completamente diverso, come la lotta alla stregoneria.  Si deve a lui anche la diffusione della sigla IHS, abbreviazione del nome di Cristo, che troviamo in tantissimi luoghi di culto. Eccolo raffigurato in una tela attribuita al Mantegna e custodita a Milano:

 

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Un personaggio antico e moderno nello stesso tempo insomma, che per le sue doti di comunicatore è stato scelto come patrono dei pubblicitari.

Entriamo dalla porta verso la collina. Le pareti sono tutte affrescate ma purtroppo in molti punti, nonostante i restauri, il colore non ha retto al passare del tempo.

Vedere gli affreschi nella loro integrità deve essere stata un’esperienza unica: per dare lustro a queste chiese di dimensioni limitate ci si affidava proprio alla ricchezza della decorazione.

 

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Anche senza essere esperti d’arte, vi accorgerete quasi subito che gli affreschi non sono tutti della stessa mano. Pur essendo piuttosto ravvicinati fra loro cronologicamente, le differenze di stile sono evidenti e testimoniano una sorta di passaggio tra il tardo gotico e gli inizi della pittura rinascimentale nel Ponente Ligure.

Gli affreschi di San Bernardino sono anonimi: non hanno firma e non ci sono notizie certe sugli autori. In un epoca di tutela del copyright come la nostra, dove tutto quello che viene creato è collegato a chi lo ha realizzato o ideato, questo aspetto ci appare davvero sorprendente. In quei tempi molti pittori si consideravano invece più artigiani che artisti e, pur realizzando opere uniche e pregevoli, spesso non sentivano la necessità di apporre la loro firma.

Nella chiesa dovrebbe avere operato almeno tre pittori diversi, che si sono divisi la decorazione delle pareti. Diamo un’ occhiata ad ognuna.

Dietro l’altare, nell’abside, si conserva il primo ciclo di affreschi, risalente al 1466. Nella parte alta sono presenti un Cristo in Gloria, un’ Annunciazione, i simboli degli evangelisti e due santi: questo settore è purtroppo molto danneggiato. Nella parte bassa, ben conservata, potete ammirare una teoria (una “serie”) di apostoli, suddivisi in due gruppi di sei e inseriti in un architettura gotica dipinta, con i tipici archi “a sesto acuto” che ritroviamo nelle grandi cattedrali francesi o nel duomo di Milano.

 

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Sono rappresentazioni eleganti nelle quali il pittore presta molta attenzione ai particolari, soprattutto negli abiti. Le figure esprimono misticismo mediante l’immobilità e la tranquillità che comunicano.
Questi messaggi sono tipici di un ambiente aristocratico, colto, il legame più probabile è quello con le opere che venivano realizzate per la piccola nobiltà del basso Piemonte, ad esempio gli affreschi del castello della Manta a Saluzzo.

La pacatezza e l’eleganza di questi dipinti ricorda i polittici medioevali, che a loro volta erano strettamente imparentati con l’arte bizantina: il santo è rappresentato con ferma solennità  proprio per sottolineare che fa parte di un altro mondo.
Per questa parete si è proposto il nome di due pittori piemontesi, il Baleison e un anonimo conosciuto come Maestro di Luceram, che erano soliti esprimersi secondo queste modalità: per alcuni studiosi potrebbero essere addirittura la stessa persona.

La parete di sinistra è quella in condizioni più precarie mentre in quella che rimane alle vostre spalle una volta entrati, la controfacciata, troverete gli affreschi meglio conservati. Su questi due lati sono presenti i cicli più recenti, che dovrebbe risalire a inizio Cinquecento.

 

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Sono narrate le storie della passione e morte di Cristo, movimentate e ricche di personaggi. Come potete vedere, le scene sono inserite in spazi reali e non più in un architettura puramente decorativa.

In particolare nella Crocefissione potete ammirare un paesaggio complesso e curato, molto interessante la scelta di creare una sorta di palcoscenico rialzando la scena attraverso le pietre in primo piano.

 

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Nella scena la caratterizzazione psicologica è stupefacente: Maria distrutta sta quasi per svenire, le pie donne cercano come possono di sorreggerla, la Maddalena, fortissima, abbraccia la croce quasi a voler partecipare al supplizio, i soldati giocano a dadi nel più gretto menefreghismo, i dignitari romani sembrano l’emblema stesso dell’ineluttabilità della legge, san Longino trafigge il petto di Gesù ma  sembra alquanto perplesso e già proiettato nella sua conversione: pura vita pulsante.

La prospettiva di alcuni dipinti  è molto accentuata, si sviluppano in una profondità che ha abbandonato lo stile gotico per abbracciare quello rinascimentale, nel Ponente Ligure legato agli influssi della pittura lombarda.

Si è pensato di attribuire questa parte di affreschi a uno o più pittori seguaci di Ludovico Brea, un raffinato artista ligure entrato in contatto proprio con ambienti rinascimentali milanesi. Ultimamente si è anche proposta una pista toscana: Triora è legata alla terra di Dante per la presenza di alcune famiglie, ad esempio quella dei Capponi, che probabilmente ebbero il merito di portare dalla Toscana uno splendido dipinto del Trecento di Taddeo di Bartolo, conservato nella Collegiata del paese.

Ora concentratevi sulla parete destra, cercando di non spaventarvi troppo…

 

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Il giudizio universale era un tema molto diffuso nelle nostre zone rurali, la Chiesa si serviva di questo tipo di raffigurazione per instillare nei fedeli la fondamentale differenza di trattamento a loro riservata nell’aldilà a seconda della scelta tra Bene e Male.

Di solito il giudizio universale veniva fatto dipingere sulla parete che il fedele aveva davanti uscendo dalla chiesa, la controfacciata, in modo che tornando alle sue occupazioni avesse ben chiaro negli occhi, quasi un promemoria, il destino che gli sarebbe toccato se avesse scelto la via del peccato.

Già certe scene fanno una certa impressione all’uomo del 2016, nel Quattrocento, magari di notte alla luce tremolante delle candele, l’effetto era garantito.

Nella parte alta si comincia da sinistra con demoni mostruosi che seviziano crudelmente i dannati, bellissimo il diavolo mangia-uomini che sembra uscito dalla fantasia di un regista horror moderno, con tanto di pentolone pieno di eretici poco sopra la sua testa.

 

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Guardando verso destra troviamo San Michele, l’arcangelo guerriero, che pesa le anime: alcune andranno in Purgatorio, altre in Paradiso e cioè nella Gerusalemme Celeste che chiude la parete.

 

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Nella parte bassa è invece raffigurato l’inferno, diviso diligentemente in sette scomparti dove i malcapitati scontano i sette peccati capitali.

La potenza espressiva del pittore raggiunge il suo apice in scene piene di caos e violenza.

 

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L’affresco che mi ha colpito di più è però un altro.

All’estrema destra di questa fascia è raffigurato il limbo, popolato dai bambini morti prima di ricevere il battesimo che non erano condannati all’inferno ma non potevano neppure andare in paradiso: una scena commovente e angosciante se si pensa all’alto tasso di mortalità infantile dell’epoca, dove purtroppo questi fatti tragici erano molto frequenti.

 

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I probabili autori di questa splendida parete sono Giovanni Canavesio e i fratelli Biasacci. Tutti e tre fanno parte della tradizione tardo gotica piemontese, come il pittore più posato che abbiamo visto nell’abside.

Le scene caotiche e cariche di violento realismo sono tipici di Canavesio, l’organizzazione complessiva del giudizio, in particolare la suddivisione razionale dell’inferno in scomparti, ricorda opere simili dei fratelli Biasacci.

La nostra visita virtuale termina qui, quando salirete a Triora ricordate di prevedere una passeggiata verso questa chiesa interessante e particolare perché ne vale davvero la pena.

Felice di avervi dato qualche spunto di visita, ci sentiamo al prossimo Tesoro del Ponente!

 

Per approfondire le tematiche sulle attribuzioni vi consiglio il bel libro che mi ha dato lo spunto per questo articolo: “Gli affreschi di San Bernardino a Triora” di Ilario Manfredini, Pro Triora Editore

Partendo da Arma di Taggia (uscita dell’Autostrada dei Fiori) prendete la statale 548 e attraversate la valle Argentina. Dopo neanche un’ora di piacevole percorso nel verde raggiungerete il famoso borgo delle streghe. Seguite la strada principale evitando il bivio per Loreto e arriverete al Municipio, sotto il quale è possibile lasciare la macchina. Proseguite poi a piedi verso l’ingresso della parte alta del centro storico, subito a destra troverete il Museo Etnografico e della Stregoneria, dove potrete ritirare la chiave e farvi spiegare come raggiungere la chiesa. Vi consiglio di portare scarpe comode, magari da trekking, perché è necessario percorrere, anche se per pochi minuti, una mulattiera.

Il museo è assolutamente da visitare, pieno di curiosità sulla Triora del passato e sul famoso processo alle streghe.