Il Santuario di Nostra Signora di Lampedusa a Castellaro, una storia da raccontare
Il Santuario della Madonna di Lampedusa, un nome misterioso per il luogo simbolo del borgo di Castellaro
Il Santuario di Nostra Signora di Lampedusa spunta alle spalle del paese di Castellaro, sulle colline che delimitano a Levante la piana di Taggia.
Il nome “Lampedusa” si riferisce proprio all’isola del Mediterraneo situata tra la Sicilia e la Tunisia.
Perché una piccola chiesa ligure di campagna porta lo stesso nome di un luogo lontano, vicino più all’Africa che all’Europa? Se avrete voglia di seguirmi vedrete che le sorprese non mancheranno.
L’iscrizione sul portale
Una prima versione della storia che sto per raccontarvi si trova dipinta al di sopra della porta del Santuario, in un’iscrizione latina del 1619, all’esterno, e nella sua traduzione italiana, all’interno.
Il protagonista, un abitante del vicino paese di Castellaro, si chiama Andrea Anfosso e la prima notizia sorprendente riguarda la sua professione, che oggi verrebbe definita quantomeno usurante: fa il corsaro combattendo i Turchi!
Le popolazioni dell’epoca chiamavano genericamente “Turchi” quelli che in realtà avrebbero dovuto essere definiti definiti Barbareschi, pirati di fede musulmana che razziavano le coste di gran parte del Mediterraneo partendo dai porti del Nord Africa sottomessi all’Impero Ottomano.
I Barbareschi battevano con frequenza le coste della Liguria tra l’inizio del Cinquecento e la metà del Seicento, ne sono testimoni le numerose torri di avvistamento ancora visibili un po’ ovunque, che spesso costituivano l’unica difesa, per quanto passiva, per gli abitanti.
Per combattere questa piaga, e nello stesso tempo evitare grossi esborsi di denaro, gli stati europei erano molto felici di tollerare, o addirittura autorizzare attraverso appunto lettere di corsa, gli assalti di alcuni coraggiosi armatori privati alle navi mercantili dei Barbareschi. Una sorta di duello Corsari vs. Pirati insomma…
Andrea è dunque imbarcato su una di queste navi “da corsa” finché i Barbareschi, durante un combattimento, lo catturano.
Dopo un tempo imprecisato, potrebbero essere poche ore come alcuni anni, la nave sulla quale viene tenuto prigioniero approda sull’isola di Lampedusa. E qui viene il bello.
L’iscrizione dice che Andrea approfitta di un momento di disattenzione dei suoi carcerieri e riesce a nascondersi alla loro vista, probabilmente in qualche anfratto o in mezzo a un bosco. I Barbareschi lo cercano senza successo in lungo e in largo per ore, decidendo alla fine di salpare senza di lui.
Una volta libero, il nostro protagonista rompe i ceppi ma è combattuto tra due stati d’animo stridenti. Da una parte è felice per la libertà riconquistata, dall’altra si rende conto di trovarsi solo in mezzo ad un isola sconosciuta e piena di pericoli.
In preda allo sconforto, decide allora di raccomandare la sua anima alla Vergine Maria e inizia ad esplorare l’isola. Dopo qualche tempo trova sul suo cammino un luogo di culto, immaginiamo una cappella o una semplice grotta, dove è custodito un quadro con l’effigie della Madonna con in braccio il Bambino e a fianco la santa Caterina di Alessandria.
Questa coincidenza lo convince che le sue preghiere sono state accolte e ha l’ispirazione di prendere con sé l’immagine: vuole utilizzarla come vela per una zattera di fortuna e tentare di abbandonare l’isola!
Il quadro si rivela ben presto miracoloso. Non solo la zattera tiene benissimo il mare, ma sembra essere mossa da un energia divina che addirittura porta il naufrago in breve tempo, sano e salvo, sulla costa ligure, a centinaia di miglia da Lampedusa!
Andrea si incammina allora sulla strada per il suo paese, riuscendo alla fine a tornare in patria e ad offrire il dipinto prodigioso ai suoi concittadini, che subito decidono di costruire un tempio per custodirlo degnamente: nasce così il Santuario di Nostra Signora di Lampedusa di Castellaro.
L’atto notarile
L’iscrizione racconta una storia affascinante di pirati, fughe e miracoli, ma non è l’unica fonte.
Nel 1714 un notaio di Taggia redige un atto relativo alla devozione verso la Madonna di Lampedusa, sempre più forte nel Ponente Ligure, e alla costruzione del Santuario di Castellaro. E’ basato sulla trasmissione orale dei fatti il cui ricordo, dopo poco più di un secolo, era sicuramente ancora molto vivo nella memoria del paese.

Castellaro, splendido borgo “di crinale”
Fino a pochi decenni fa infatti, me ne parlava ancora mia nonna, invece di guardare la televisione o il pc, la sera ci si riuniva con la famiglia intorno al fuoco per sentire gli anziani raccontare storie fantastiche o avvenimenti di particolare importanza riguardanti il paese, fino a quando non arrivava l’ora di coricarsi. Sicuramente la storia della fondazione del Santuario di Nostra Signora di Lampedusa era uno dei racconti più amati dai bambini di Castellaro.
Il documento ha quindi delle buone basi e, rispetto all’iscrizione, racconta una storia un po’ diversa e davvero toccante, che fa emergere una personalità del protagonista più complessa e umana.
Intanto non c’è nessun riferimento ad un’attività di corsaro da parte di Andrea Anfosso ma semplicemente la notizia che, non sappiamo a che età, viene portato in Africa e ridotto in schiavitù.

La casa natale di Andrea Anfosso detto “il Gagliardo”
Compare anche il soprannome “Gagliardo”: anni fa si pensava potesse essere un riferimento esclusivo alla sua prestanza fisica, oggi alcuni studiosi dell’argomento collegano il termine al cognome della madre, piuttosto diffuso nella zona.
Dopo alcuni anni di prigionia sulla terraferma, Andrea viene messo a navigare in mare aperto.
La nave su cui è imbarcato, anche qui dopo un tempo imprecisato, fa scalo di notte sull’Isola di Lampedusa per approvvigionarsi di acqua dolce, legna e cibo.
Scendono numerosi marinai per sbrigare questi compiti, tra i quali l’Anfosso, che però prende la fatidica decisione di non tornare più a bordo.
Anche in questa versione Andrea attende la partenza dei Barbareschi e dopo aver chiesto aiuto alla Vergine trova il quadretto, ricevendo l’ispirazione di portarlo con sé e usarlo come vela della miracolosa traversata che si conclude con l’approdo in Liguria e la fondazione del Santuario di N.S. di Lampedusa a Castellaro.
L’atto termina con il riferimento ad altri due eventi miracolosi.

Località “La Cappella”, da dove il quadro si spostava
Il primo si riferisce al luogo di edificazione del santuario che il Gagliardo e i suoi compaesani decidono di iniziare a costruire.
Nell’entusiasmo generale viene scelta una zona detta La Cappella, una sorta di piccolo spiazzo sulla strada che porta al monte Faudo, a circa un chilometro e mezzo a nord del paese.
Il quadro però la notte stessa scompare misteriosamente tra lo sconforto generale per poi venire ritrovato poco dopo in un terreno di proprietà dello stesso Andrea Anfosso, poco più a sud, in località Costa Ventosa.
Ricollocato nella zona del cantiere e nonostante la sorveglianza di sentinelle, il quadro ogni notte si sposta nello stesso punto.
Alla fine tutti si convincono che la Madonna ha fatto la sua scelta e, nonostante il luogo piuttosto scosceso, il santuario viene edificato dove si trova ancora oggi.
Il dipinto continua poi a stupire portando una pioggia miracolosa sui campi del paese, dopo un durissimo periodo di siccità.
Come dimostra la grande quantità di ex-voto, i miracoli continueranno nei secoli a venire e il Santuario di Nostra Signora di Lampedusa di Castellaro diventerà conosciuto in tutto il mondo.
Un personaggio sorprendente
Le due versioni sono simili ma alcuni particolari si rivelano determinanti, la seconda è infatti molto più plausibile sotto il profilo storico, a partire dal rapimento.
Nel 1561 il pirata barbaresco Ulugh Alì, respinto da Taggia (tra parentesi dalla cannonata di un probabile antenato del vostro narratore!), aveva attaccato realmente Castellaro facendo diversi prigionieri: l’ipotesi che tra essi vi fosse Andrea è quindi piuttosto plausibile.
In un’ulteriore versione della storia del Gagliardo si parla perfino di una schiavitù quarantennale, in base alla quale si arriverebbe giusto giusto al 1602 che è l’anno del suo ritorno a Castellaro…
Le stesse rappresentazioni pittoriche e plastiche di Andrea lo raffigurano, del resto, sempre come un uomo avanti con gli anni.

La statua portata in processione la seconda domenica di settembre
Ma il passaggio chiave che intensifica il dramma esistenziale è un altro.
Nell’atto notarile è scritto chiaramente che Andrea Anfosso fa parte di un gruppo di uomini sbarcati sull’isola per i servizi di rifornimento.
Questo compito era di competenza dei marinai, non certo degli schiavi.
I prigionieri erano costretti infatti a rimanere a bordo, molti incatenati al remo, proprio per scongiurare ogni possibilità di evasione. L’atto notarile dice addirittura che lo sbarco avviene di notte, quindi in condizioni più che favorevoli per una fuga.
Se non era quindi imbarcato come schiavo ma come marinaio, e godeva in qualche modo della fiducia del nemico, il Gagliardo si era probabilmente convertito all’Islam.
Chi veniva rapito dai Barbareschi spesso era rilasciato entro un tempo relativamente breve dietro pagamento di un riscatto, chi non aveva questa fortuna rimaneva schiavo a vita. Oppure si convertiva.
Per evitare di vivere in uno stato penoso, molti alla fine non resistevano e diventavano musulmani, anche se il più delle volte si trattava di una conversione di facciata.
I cosiddetti “rinnegati” venivano spesso imbarcati come marinai, un po’ perché conoscevano le zone da attaccare, un po’ perché dovevano dimostrare la sincerità della loro conversione.
Alcuni facevano addirittura carriera come quel Ulugh Alì che abbiamo citato prima, un calabrese nato come Luca Galeni, divenuto poi capitano tra i più famosi e temuti della flotta turco-barbaresca.
L’ ipotesi sulla figura di Andrea Anfosso più attinente alla realtà storica alla fine è la più affascinante.
Pensateci: un uomo tra i 50 e 60 anni, strappato fin da giovane alla sua terra ed alla sua famiglia, che vive i primi anni di prigionia in attesa di un riscatto che non arriverà mai, costretto per sopravvivere a cambiare religione, trova il coraggio nonostante l’età di dare un colpo di coda alla sua esistenza e a fuggire, tornando tra la sua comunità e in qualche modo arrivando alla “redenzione” attraverso il quadro miracoloso.
Da schiavo, a “rinnegato”, a fondatore del Santuario di Lampedusa di Castellaro.
Se fossi uno sceneggiatore vi giuro che ci scriverei un film!
Il dipinto sull’Isola di Lampedusa
L’isola di Lampedusa era stata per molto tempo abitata, ma nel ‘500 e nel ‘600 era diventata troppo pericolosa, soprattutto a causa dei Barbareschi.
Molti scritti parlano però di un luogo sacro molto antico e particolare, scavato nella roccia e frequentato da chi ogni tanto sbarcava per i rifornimenti.
Da una parte di questa caverna i cristiani veneravano una tela raffigurante la Madonna, dall’altra i musulmani veneravano la tomba di un loro “santo”, un cosiddetto marabutto. Il quadro era molto rispettato anche dai musulmani, vista la presenza della figura della Vergine nel Corano.
Un’ altra prova che rafforza la veridicità della narrazione è il fatto che le cronache successive al 1650 non parlano più della presenza di questo dipinto raffigurante la Madonna sull’isola, ma di una statua, che probabilmente sostituì il quadro preso dall’Anfosso.
Per chi non crede alla traversata miracolosa, Andrea potrebbe avere aspettato un vascello cristiano per segnalare la sua presenza.
Più probabilmente, vista la non proprio regolare presenza del quadro tra il suo bagaglio, potrebbe avere costruito effettivamente una
zattera e raggiunto le coste siciliane, dalle quali sarebbe tornato a casa su una nave ligure.
O ancora potrebbe essersi messo in mare per poi venire raccolto come naufrago: a parte le numerosi imbarcazioni genovesi, molti vascelli dediti alla pesca del corallo partivano proprio dai porti del Ponente Ligure e si spingevano in tutto il Mediterraneo.

Porta di Lampedusa – Porta di Europa, interessante scultura di Mimmo Paladino
Comunque sia andata, spero di aver acceso la vostra curiosità: direi che ormai siete quasi “obbligati” a salire a Castellaro per vedere la tela custodita nel Santuario di Lampedusa e immergervi direttamente nei luoghi legati alla storia che vi ho raccontato…
Venti minuti appena di auto da Arma di Taggia e potrete ammirare questo panorama, che da solo vale il viaggio.
Per raggiungere Castellaro:
Percorrendo l’autostrada dei Fiori uscite ad Arma di Taggia.
Dalla rotonda principale di Arma (quella delle olive giganti…) prendete la via Aurelia verso Imperia; dopo circa un chilometro seguite la strada che si inerpica alla vostra sinistra in direzione Castellaro e, raggiunto il paese, troverete le indicazioni per il Santuario di Nostra Signora di Lampedusa.
Una storia bella e ottimamente raccontata, sotto i suoi vari aspetti!! Grazie
Grazie a te Andrea!