Arte Contemporanea a Imperia: vieni a scoprire il Museo di Villa Faravelli
Oggi non prendere impegni, ce ne andiamo alla Villa Faravelli, tra Porto Maurizio e Oneglia, per visitare il Museo di Arte Contemporanea di Imperia (M.A.C.I.). Ti assicuro che non te ne pentirai: te lo dice uno che era molto scettico quando gli è stato proposto di scriverci sopra un articolo, ma che poi si è divertito un mondo a scriverlo.
L’arte contemporanea? Mah… qualcosa mi piaceva, qualcosa proprio no, sicuramente la conoscevo poco. Anzi, la conosco poco. Questo articolo infatti è una presentazione del M.A.C.I. scritta da un profano. Mi sono dovuto documentare, ed è stato davvero divertente, ma sicuramente non sono diventato un esperto. Ho però individuato, per averli vissuti sulla mia pelle, alcuni problemi a cui può andare incontro il “principiante”. E anche le possibili soluzioni.
Quindi ciò che stai per leggere può esserti molto utile se anche tu conosci poco l’arte contemporanea, e magari hai anche qualche pregiudizio. Se decidi di andare avanti può darsi che ti succeda quello che è successo a me. Cioè che ti si apra un modo nuovo di vedere l’arte. Credimi, per me è stata una scoperta e dopo essere stato al M.A.C.I. mi è venuta voglia di visitare qualche altro museo di questo tipo. Cosa che di sicuro farò presto.
Ma andiamo subito ad affrontare le piccole difficoltà di cui ti parlavo.
“Questo potevo farlo pure io…”
Per secoli gli artisti si sono dedicati a raffigurare la realtà, a rappresentare soggetti che lo spettatore riconosceva e riconosce come parte del suo mondo. L’arte è stata cioè figurativa: un esempio sono le splendide vedute di Canaletto, sembrano quasi fotografie. Ecco il pittore veneziano in trasferta a Londra.
A partire più o meno dall’Ottocento, alcuni hanno iniziato a riprodurre quegli stessi soggetti del mondo reale in maniera non realistica, seguendo idee e stili molto diversi tra loro. Questo è Monet con “Impressione, levar del sole”. Non male, vero? Starei delle ore a guardarlo.
All’inizio del Novecento è stato fatto il passo forse più rivoluzionario nella storia dell’arte. Si è sviluppata cioè l’idea di eliminare quasi completamente i soggetti del mondo reale, creando un universo completamente nuovo. Era nato l’astrattismo. Probabilmente avrai sentito parlare di Kandinsky, il quadro qui sotto si chiama “Giallo, rosso, blu”.
Il problema è che sostituire un linguaggio così immediato come quello figurativo con altri più complessi, rende l’accostarsi all’opera d’arte un po’ più faticoso. Mi spiego meglio.
Se guardo un quadro di Caravaggio, e non so nulla della pittura di Caravaggio, molto probabilmente rimarrò comunque affascinato dalla luce, dai colori, dalla maestria con cui riproduce, appunto, la realtà. Poi ovviamente la mia esperienza di spettatore sarà ancora più profonda se possiedo delle informazioni sulla pittura di Caravaggio.
Se vedo un quadro di Mondrian, e non so nulla della pittura di Mondrian, dirò invece: “questo potevo farlo pure io!”. E avrò fatto la figura del pirla perché Mondrian è geniale quanto Caravaggio!
Istruzioni per l’uso
L’arte contemporanea ha un’infinità di anime. Lo stesso astrattismo, più che una corrente, è un concetto che fin dall’inizio da origine a esperienze molto diverse tra loro. Si parla ad esempio di astrattismo lirico, in pittori come Kandinsky e Klee, quando l’artista abbandona i soggetti del mondo reale per entrare nell’universo emotivo, poetico, della vita e dell’essere umano.
L’astrattismo geometrico, teorizzato da artisti come Mondrian e Von Doesburg, abolisce invece qualsiasi contenuto sentimentale nell’opera d’arte. Viene ricercato un rigore razionale sia nelle forme, con una predilezione per il rettangolo, che nei colori, spesso con l’uso esclusivo dei primari, del bianco e del nero.
La varietà di stili che incontrerai rende quindi il museo estremamente interessante, ma all’inizio potrebbe confonderti. E’ quello che è successo anche a me: niente paura, eccoti due semplici consigli.
Uno è lasciarsi un po’ andare, smettere di pensare che l’opera d’arte rappresenti “qualcosa” per concentrarsi invece su quello che ci comunica.
L’altro è accostarsi ad essa con un minimo di informazioni sull’autore o la corrente. Non temere, non c’è bisogno di consultare dozzine di libri, se ti appassioni magari lo farai dopo. E’ però fondamentale usare la guida che ti verrà data alla reception: leggi le brevi introduzioni alle varie sale e ti divertirai. Magari tieni a portata di smartphone o tablet anche il mio articolo.
E ora cominciamo…
Per accedere alla collezione si sale un’elegante scalinata doppia dominata da una vetrata in stile liberty. Prima però fermati ad ammirare la testa in terracotta realizzata da Umberto Mastroianni: sembra messa lì come guardiana del passaggio tra il mondo figurativo che stiamo per lasciarci alle spalle e la realtà “misteriosa” che troveremo di sopra. Mastroianni, zio di Marcello, è stato artista sia figurativo che astratto.
Una volta raggiunto il ballatoio del primo piano si entra nel vivo con uno spazio dedicato al Costruttivismo e all’Arte Concreta. Vediamo in breve di cosa si tratta.
La prima corrente nasce in Russia a inizio Novecento con l’idea che l’arte debba seguire il linguaggio della tecnologia e della meccanica. Legata al nascente mondo della fabbrica, visto in positivo come luogo del progresso materiale e sociale dell’umanità, è ben rappresentata da due sculture di Joaquin Rubio Camin.
Il costruttivismo si esaurisce nel giro di pochi anni ma molti suoi aspetti, soprattutto le indagini sulle relazioni tra superficie e forma, colore e spazio, verranno ripresi e rielaborati da correnti e artisti di tutta Europa.
Nella pittura di Rocco Borella, ad esempio, sono riconoscibili ricerche riconducibili al costruttivismo. L’artista sembra volersi esprimere con un linguaggio nuovo, razionale, basato sulla successione di bande colorate di ampiezza e intensità diverse. Si ha l’impressione che le strisce formino una frase: un critico li definiva cromemi (dal greco chroma, colore) facendo notare la loro funzione vicina a quella dei fonemi linguistici.
L’Arte Concreta porta avanti concetti vicini all’astrattismo geometrico. Secondo Von Doesburg, il primo a introdurre il termine “concreta”, “la pittura è un mezzo per realizzare il pensiero ricorrendo ad effetti ottici“. Max Bill scrive che “lo scopo dell´arte concreta è di ideare oggetti per uso intellettuale, allo stesso modo in cui l’uomo si procura oggetti per l´uso materiale“. Nei suoi quadri c’è infatti una ricerca di forme pure, elementari, espressione del nostro pensiero razionale.
In Claudio Verna si va oltre la rappresentazione per “entrare” nella pittura stessa. Il pittore si pone come obbiettivo di indagare sugli “elementi minimi“, quindi sull’essenza, della pittura: la luce, lo spazio, il gesto e soprattutto la potenza del colore, nelle sue tonalità e saturazioni più estreme.
Come inizio non c’è male, vero? Mi sembra che gli stimoli non manchino…
Procedi ora verso destra (lasciandoti le scale alle spalle). Nel breve corridoio troverai un quadro di Ennio Morlotti. Qui non si parla più di ricerca di forme pure, ma addirittura di rifiuto della forma. Il pittore informale entra in contatto con l’opera d’arte in modo quasi fisico, colpendola con schizzi di colore, gocciolamenti, pennellate violente. Morlotti rappresenta in questo modo l’andamento caotico della natura, che si distrugge e rigenera in ogni drammatico istante.
Nella sala intitolata a Carlo Nangeroni e Michel Seuphor si torna a ragionare su forme appartenenti al mondo della geometria e sui rapporti matematici che le legano. Nangeroni si esprime soprattutto attraverso il cerchio, una delle figure più evocative per l’essere umano. Cerchi e colori si combinano tramite regole precise, come se seguissero uno spartito musicale.
Seuphor è stato sia un importante artista che un raffinato teorico e critico d’arte. Occupa un posto di primo piano nel mondo dell’astrattismo per aver fondato il gruppo Cercle et Carré (cerchio e quadrato), che già dal nome evoca l’astrattismo geometrico. Una curiosità: Seuphor è un nome finto, anagramma di Orpheus.
E’ ora di entrare nella stanza dell’Arte Cinetica: qui lo spettatore diventa veramente protagonista. La parola “cinetica” richiama al movimento e infatti le opere si “muovono” agli occhi del visitatore. Vediamo qualche esempio. Nei quadri di Victor Vasarely il movimento è dato “semplicemente” dall’uso del colore.
Ce lo spiega lui stesso: “…i bruschi contrasti in bianco e nero, l’insostenibile vibrazione dei colori complementari, il baluginante intreccio di linee e le strutture permutate sono tutti elementi della mia opera il cui compito non è più quello di immergere l’osservatore in una dolce melanconia, ma di stimolarlo, e il suo occhio con lui.“
Alberto Biasi costruisce invece vere e proprie illusioni ottiche: la superficie del quadro muta al variare dell’angolazione da cui la si guarda. Nei lavori di Enrico Castellani è addirittura la tela a sollevarsi e ripiegarsi, l’impressione è che sia dotata di vita propria. In questa sala lasciati andare e presta attenzione agli stimoli visivi elementari che riceverai dalle opere esposte.
La sala dedicata all’astrattismo italiano testimonia l’importanza di molti nostri connazionali all’interno della pittura contemporanea del dopoguerra. I quadri evocano ancora una volta il mondo razionale della geometria, esplorato però in modo molto personale dai diversi artisti esposti.
Alberto Magnelli ad esempio ama utilizzare la curva, che gli astrattisti geometrici più intransigenti giudicavano forma impura: questa scelta riempie l’opera di contenuti vicini alla sfera emotiva. Mario Radice rimanda invece a una dimensione più spirituale, abbinando forme appuntite, che evocano la comunicazione con una realtà metafisica, a colori tenui, rilassanti.
Manlio Rho e Atanasio Soldati, altri due mostri sacri dell’arte contemporanea italiana, sono invece più legati alla ricerca di forme essenziali tipica dell’arte concreta. Soldati è stato anche fondatore del MAC, il movimento arte concreta nato a Milano nel 1948.
Il nostro percorso prosegue nella sala centrale. Qui incontriamo un grande artista le cui opere più famose sono spesso sottoposto alla classica reazione “questo potevo farlo pure io!”. Sto parlando di Lucio Fontana, conosciuto soprattutto per i suoi “tagli”, di solito intitolati “Attesa” o “Concetto spaziale”.
Il semplice taglio della tela si porta dentro una riflessione enorme sullo spazio alla quale lo spettatore è chiamato a partecipare. La superficie stessa della tela, quindi un elemento sacro della pittura, viene aperta, violata. Si crea un’ombra che nello stesso tempo angoscia e incuriosisce, un passaggio su un altro piano di realtà, su cosa c’è dall’altra parte.
Nella stessa stanza sono notevoli anche i lavori di Piero Dorazio, quadri monocromatici attraversati da reticoli a maglie fitte. Comunicano anch’essi una percezione alterata dello spazio. Queste opere devono essere assolutamente ammirate “dal vivo”.
Più si procede, più la collezione non finisce di stupire. Nello spazio dedicato all’astrattismo internazionale sono raccolti lavori di artisti appartenenti ancora una volta al filone dell’astrattismo geometrico: linguaggi diversi che producono opere di grande livello. Anche qui qualche esempio può esserti d’aiuto.
Josef Albers è legato al costruttivismo, ma i suoi lavori, soprattutto attraverso la particolare scelta cromatica, sembrano voler esplorare la dimensione sentimentale e le profondità della psiche. Franz Kupka traduce in pittura le sue ricerche nell’ambito della filosofia e del misticismo. La sua tavolozza è estremamente varia e interessante.
Le opere di Jean Dewasne si riconoscono per l’uso ricorrente della curva, le forme semplici e i colori accesi. Anche in lui si sente l’influenza del costruttivismo nel suo rimandare al mondo industriale.
In questa sala troviamo anche l’italiano Arturo Bonfanti, per le sue ricerche di semplificazione formale che lo avvicinano ad esperienze internazionali analoghe. Le sue opere colpiscono per raffinatezza ed eleganza, sia nella linea che nella scelta dei colori.
Nel Salone azzurro è difficile trovare una matrice comune. A dominare la scena troviamo la statua del cavaliere di Marino Marini che rappresenta il legame tra l’uomo e la natura. Io ci ho visto un interessante contrasto con le sculture del ballatoio, magari sarai d’accordo anche tu.
Curiosando sulle pareti si viene attratti dalla pittura di Massimo Campigli, con i suoi riferimenti all’arte antica: l’artista si è accostato inizialmente all’arte egizia e poi a quella etrusca. I contorni forti e le figure semplici, stilizzate, fanno si che il suo approccio figurativo superi la rappresentazione della realtà, pur senza entrare nell’astrattismo.
In Renato Birolli l’elemento espressivo più riconoscibile è il colore caldo, mediterraneo, che manterrà sia nelle sue opere figurative che in quelle vicine all’astrattismo lirico. Con Mauro Reggiani si torna nell’alveo dell’astrattismo geometrico, colpisce il suo stile compositivo estremamente complesso a volte basato sulla curva altre su figure ortogonali.
Molto interessante la parete che ospita la corrente del cubismo orfico. Il cubismo parte dalla realtà per scomporla, svelandocela da più punti di vista. Spesso ad esempio i cubisti ci mostrano contemporaneamente sia la parte frontale di un soggetto che quella posteriore.
Il cubismo orfico integra su queste basi alcune ricerche legate al colore e alla luce, molto simili a quelle dei primi acquerelli astratti di Kandinski: siamo tra l’altro più o meno nello stesso periodo. E’ una sorta di passaggio tra la raffigurazione di soggetti reali, sebbene scomposti e l’astratto.
Come puoi vedere nella foto immediatamente sotto, Robert Delaunay scompone un soggetto reale caricandolo di una vigorosa forza rotatoria, che abbinata ai contrasti di colori diventa davvero coinvolgente. Anche la moglie di Robert, Sonia Terk, segue questa direzione e sembra spingersi un po’ più verso l’astrattismo, puoi ammirare la sua opera nella foto precedente, dietro il cavaliere di Marini.
Un’altro artista di spicco legato a Delaunay è Serge Poliakoff. Negli anni si sposta verso l’astrattismo geometrico, interpretato con un’esuberanza e una vitalità che gli vengono probabilmente dai contatti con l’orfismo.
Uscendo dal salone azzurro troviamo nel corridoio anche un’opera di Ernst Nay, che si propone di analizzare due elementi chiave del quadro, la superficie e il colore che la muove dandole un ritmo: questa è secondo l’artista la funzione pura ed essenziale del colore.
Rieccoci sul ballatoio, pronti a tornare al piano terra di Villa Faravelli. Allora, ti è piaciuta questa full immersion nell’arte contemporanea?
Se ti gira un po’ la testa scendi le scale e prendi a destra. Troverai una piccola sala dedicata all’arte figurativa che può aiutarti a tornare nel mondo reale… Ospita autori importanti come il paesaggista Oscar Saccorotti, o come Vittorio Tavernari, spesso in bilico tra figurativo e astratto. E’ presente anche un disegno di Lele Luzzati, il grande illustratore genovese legato al Ponente per le sue collaborazioni con il Teatro della Tosse di Genova in trasferta ad Apricale.
L’intera collezione del M.A.C.I. è una donazione della signora Maria Teresa Danè, che ha deciso di regalare le opere d’arte collezionate in vita dal marito, l’architetto Lino Invernizzi, al Comune di Imperia. Per custodirle degnamente ed esporle al pubblico è stata scelta questa elegante villa degli anni Quaranta, anch’essa frutto di un lascito.
Anche senza essere esperti, ci si rende conto di essere di fronte a una esposizione di enorme valore. Ti rinnovo quindi l’invito a fare un salto di persona per poterla ammirare e passare un paio d’ore stimolanti e indimenticabili.
Tra l’altro il M.A.C.I. organizza periodicamente alcune mostre che affiancano questa splendida collezione permanente. Mentre sto scrivendo questo articolo, le sale del museo ne stanno ospitando una imperdibile su David Bowie che durerà fino al 7 maggio 2017.
Eccoti due indirizzi utili per organizzare la tua visita.
https://www.facebook.com/macivillafaravelli/
http://www.comune.imperia.it/archivio10_notizie-e-comunicati_0_169.html
Non mi resta che salutarti e darti appuntamento al prossimo Tesoro del Ponente!
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